La “piena” dei dubbi: i cantieri nel Paglia, aprile 2106. Prima cartolina

Il tratto urbano dell’alveo del fiume Paglia a valle del ponte dell’Adunata è un fermento di cantieri: ruspe e camion al lavoro. I pochi e malmessi cartelli recitano “Interventi urgenti per la mitigazione del rischio idraulico”. Il linguaggio burocratico e tecnico non si cura dei paradossi: possono essere ancora definiti “urgenti” gli “interventi” che arrivano dopo 4 anni dall’alluvione? Né si cura della corrispondenza tra ciò che dice e ciò che fa: non si tratta di mitigazione del rischio, il rischio resta quello, è legato alla vulnerabilità degli abitati, sulla quale può forse intervenire la politica con strategie di lungo termine, e alla imprevedibilità del clima.

Molto più modestamente, gli scoticamenti, gli sbancamenti, le trincee che si vedono sono le preparazioni per le difese passive di porzioni dell’abitato che dovrebbero mitigare gli effetti al suolo di una eventuale esondazione proteggendo le abitazioni, i negozi e le officine più esposti.

Riconosciuti i limiti di ciò che verrà realizzato è comunque da sottolineare che l’insieme costituisce l’intervento pubblico più importante degli ultimi anni sugli abitati di Orvieto Scalo e di Ciconia. E allora è doveroso interrogarsi sull’efficacia e sulla congruenza. Speriamo di non dover mai sperimentare l’efficacia in presenza di un’altra esondazione come quella del 2012; ma è certo, per esempio, che se non saranno risolte le questioni riguardanti la rete fognaria, le arginature realizzate potrebbero avere addirittura effetti peggiorativi. Riguardo la congruenza siamo costretti a sospendere il giudizio. Saranno stati presi in considerazione i dati dell’idrologia ufficiale e le progettazioni saranno state condotte attraverso modalità istituzionalmente corrette. Ma è certo che il territorio non è stato ascoltato; mancando dunque la “storia” delle cose, non sapremo mai se la soluzione ufficialmente adottata e’ l’unica, la migliore, o come molto più probabile, solo una delle possibili, preferità in virtù di interessi, economici e tecnici, particolari e non generali. Sugli appalti non inferiamo nulla: per quel che si vede dovrebbe aver funzionato il “manuale Cencelli”.

Un’opera pubblica così importante ha impatti urbanistici e sociali altrettanto importanti. Adeguatamente partecipata avrebbe potuto porre le basi per riqualificare gli abitati moderni di Orvieto, riconnetterli tra loro e con il centro storico, realizzare opportunità per migliorare la qualità della vita, incrementare il benessere dei cittadini e indurre qualche innovazione per lo sviluppo.

Può, ancora fare tutto questo? Forse sì, almeno in parte. Per recuperare quanto possibile una progettualità organica, partecipata e coinvolgente, che è fondamentale e che manca, noi cominceremo ad inviare una serie di “cartoline”, una per ogni cantiere, per evidenziare le criticità e le potenzialità. Poi chiederemo sopralluoghi, approfondimenti sui progetti, organizzeremo focus group con la popolazione e assemblee.

Cosa faranno gli enti, le istituzioni, le società appaltanti e quelle appaltatrici per far sì che la più importante opera pubblica degli ultimi anni qui nell’orvietano sia effettivamente al servizio dello sviluppo di comunità? Avremmo già due richieste: predisporre e rendere accessibili tavole chiare dei progetti e rendering dell’aspetto finale che avranno le singole opere insieme all’impegno che ogni economia prodotta sarà reinvestita sul territorio in accordo con le associazioni che si impegnano per la fruizione pubblica dell’alveo del fiume.

A presto con la prossima cartolina,

Il Direttivo

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